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05/02/2014

Lunga intervista ad un veterano della pallacanestro.

Pochi mesi dopo la straordinaria avventura della Nazionale italiana agli Europei in Slovenia, il basket italiano si sta mettendo in mostra per un immobilismo assoluto. Il treno del Mondiale è passato senza che gli azzurri potessero salirci sopra, con la rinuncia alla richiesta di wild card e la beffa di veder scelte tre squadre europee, tra cui la Finlandia. La Federazione è alla ricerca di un progetto vincente, la Legabasket sta per cambiare presidente senza però che sia stato esposto uno straccio di programma, all?orizzonte non si intravede nulla di buono. Sportxpress ha voluto parlare di tutto questo con Carlo Recalcati, attuale coach della Sutor Montegranaro ed ex ct della Nazionale. Un personaggio importante che molti invocano al timone del comando per dare una decisa sterzata a tutto il movimento. Coach Recalcati, ci racconta il basket italiano al tempo della crisi? ?Rispecchia esattamente la società italiana, non è esente da ciò che la crisi comporta. Il basket soffre la crisi, e parecchio, anche perché non è mai stata un?attività in utile, non ha mai prodotto grandi movimenti economici e finanziari. Si è retto sempre sul fatto che ci fossero proprietari, dirigenti e sponsor che dessero la possibilità di ripianare una stagione quasi mai in pareggio. Con la crisi tutto questo viene a mancare. Proprietari unici non ce ne sono più o sono casi rari, non solo in serie A ma a livello di tutto il movimento. Questo comporta l?inevitabile perdita a ripetizione di alcune società, molte delle quali anche storiche, e la presenza di società che stanno meglio di altre ma che al momento di abbassare il budget per prima cosa tagliano gli investimenti sui settori giovanili. A cascata tutto questo si ripercuote sulla qualità?. Non è il momento di tirare fuori qualche idea vincente? ?Assolutamente sì. Bisognerebbe avere un po? di fantasia italiana, con la capacità anche di andare controcorrente per risvegliare l?attenzione dell?opinione pubblica. Noi siamo arrivati alla riforma dei campionati e lo abbiamo fatto con 7-8 anni di ritardo. Quando si pensa a una ristrutturazione, non è una cosa che si decide e si fa con immediatezza, perché bisogna dare a tutto il movimento la possibilità di prepararsi. Nel momento in cui si decidono le cose passano 2-3 anni per mettere tutto a regime. Se poi una decisione viene rimandata 5-6 anni vuol dire che le cose necessarie vengono fatte con 10 anni di ritardo. Ora iniziamo a parlare di wild card, di ranking e finalmente anche di Conferences. Se realmente arriveremo a farle, avremo comunque perso altri 10 anni. Se certe decisioni le avessimo adottate quando si iniziava a parlare di rinnovamento, forse adesso saremmo già a regime, in una situazione nuova, dove ci sarebbe più interesse attorno alla pallacanestro. Ovvio che parlare di Conferences implica un accesso alla Lega in maniera, una diversa valutazione sull?opportunità di bloccare le retrocessioni per qualche anno. Sono discorsi difficili da recepire per la mentalità italiana. Però non dimentichiamo che anche quando parlammo dell?introduzione dei playoff lo scetticismo era lo stesso. Se hai un po? di coraggio e cerchi di fare qualcosa di innovativo l?appassionato riesce a capire. Noi abbiamo una cattiva opinione dei nostri appassionati, li sottovalutiamo, pensiamo che non siano in grado di capire e che vivano solamente di passione esasperata e di null?altro. Invece abbiamo un movimento di tifosi, appassionati e opinionisti in grado di recepire e e capire. Anzi, forse capiscono un po? di più e sono un po? più avanti degli stessi adetti ai lavori. E noi abbiamo il dovere di dargli qualche cosa di più?. Dargli di più anche in termini di palasport e di spettacolo e di organizzazione? ?Lo spettacolo diventa una conseguenza di come è fatto e vissuto il palazzo dello sport. Avere un palasport comodo renderebbe le persone meno esasperate da una situazione difficile a livello logistico. E poi ci sarebbe la possibilità di offrire anche altro, pur senza arrivare a quello che accade nell?NBA. La possibilità di vivere la pallacanestro in modo più disteso e più rilassato sicuramente sarebbe di aiuto. Ma bisogna avere la capacità di fare una selezione e darsi delle priorità. E questo lo può fare solo chi ha le redini del comando?. C?è confronto tra addetti ai lavori, allenatori, dirigenti e rappresentanti di Lega e Federazione? ?No, non c?è confronto. Ad esempio noi allenatori siamo sempre tenuti fuori da qualsiasi decisione, anche perché c?è l?idea che possiamo esprimerci attraverso le interviste. Non abbiamo nessun rappresentante nel Consiglio di Lega e qualcuno nel Consiglio Federale, che sulla carta ha anche possibilità di voto ma che però ha poca voce proprio dal punto di vista delle questioni tecniche. Tutto questo probabilmente è colpa di noi allenatori e dei giocatori: viviamo molto poco i luoghi dove vengono adottate le decisioni, siamo presi dal nostro lavoro, dai nostri impegni. I giocatori molto giovani non hanno la maturità per occuparsi di certe cose. Tutta la vita politica dei comitati regionali è fatta principalmente da dirigenti e arbitri e questo esclude la componente tecnica. Ripeto, è colpa nostra perché ce ne siamo sempre occupati molto poco. Però questo è un limite nel momento in cui si va a decidere come si fa un movimento. Ora ad esempio si sta ventilando una ristrutturazione dei campionati a livello regionale, ma servirebbe un po? più di coraggio, partendo dal presupposto che nel momento in cui fai delle riforme non puoi pensare di accontentare tutti. Ma devi essere pronto a questo. Un conto è subire delle perdite ? giocatori del settore giovanile, società a livello generale ? perché uno non ce la fa e non è in condizione di continuare ad agire. Ma la verità è che si dovrebbe essere in grado di propiziare delle perdite e decidere quali siano. Nel momento in cui attui delle riforme importanti in un movimento sarà necessario ?fare dei morti?, per così dire: un conto è metterti lì alla finestra e vedere chi cade, un conto è decidere di non volere qualcuno nel movimento perché è in grado di poterlo fare. Sono decisioni importanti, chi occupa un certa posizione ha il dovere di prenderle. Nel basket ci sono dei momenti in cui certe posizioni diventano di routine, in fondo è sbagliato anche quello, perché quando ci si adatta alla routine, si inizia a calare. Ci sono dei momenti, invece, in cui devi essere per forza decisionista, devi intervenire, devi essere drastico e avere la forza e il potere per farlo?. Ci sono momenti più propizi per poter fare queste riforme? L?apice toccato dalla Nazionale dopo l?Olimpiade del 2004 poteva essere uno di questi? ?Quando parlo di un ritardo di 10 anni, non parlo a sproposito. Allora si era iniziato a parlare di problematiche e di riforme e si era detto che c?erano dei buchi generazionali che dovevano spingere a rivedere il sistema e rimettersi a produrre giocatori. La percezione che ho avuto è che nel momento in cui raccogli un risultato, qualunque cosa dici non va bene. O vieni preso per presuntuoso e usi dei toni che vengono interpretati come esaltazione solo del successo che hai ottenuto oppure usare toni diversi, come quelli che abbiamo usato noi, viene visto come un mezzo per esaltare quello che avevamo fatto. Qualcuno pensava che noi parlassimo di essere a livello zero perché così il nostro successo avesse ancora più valore. Invece era una fotografia reale della situazione. Chi vive nel settore squadre Nazionali ha la possibilità di vedere tutto a 360° tutto quello che è il movimento, soprattutto se è molto attento. Ha possibilità di muoversi, dalla serie A fino al minibasket, osservando realtà importanti e quelle piccole, decentrate e meno fortunate. Ha una visione utile a fare la sintesi di quello che ha il movimento. Una volta raccolte le informazioni, certi messaggi devono essere mandati e devono essere recepiti nel mondo giusto, senza pensare che dietro ci sia una strumentalizzazione. Questo è stato disatteso, non è stato capito. La verità è che oggi non abbiamo più personaggi. Certo, nella pallacanestro di oggi ci sono molti giovani emergenti, Hackett a suo modo è personaggio. Ma io penso a Gianmarco Pozzecco e a Carlton Myers e alle possibilità che questi giocatotri davano al mondo non cestistico di potersi interessare alla pallacanestro. Noi oggi siamo chiusi su noi stessi. L?unico oggi potrebbe essere Gallinari, però è lontano e ora è anche infortunato. Myers, ad esempio, era diventato uno sportivo a 360°, non a caso ha fatto il portabandiera alle Olimpiadi di Sydney. Poz spero che oggi da allenatore possa ripercorrere quello che ha fatto da giocatore. Abbiamo bisogno di riconoscibilità da parte di quelli che sono fuori dal modo della pallacanestro. Gli spazi televisivi? Ce li dobbiamo conquistare. Myers e Poz avevano spazi televisivi non propriamente del basket. Se hai quegli spazi, allora la tv si accorge che esiste il basket. I problemi, dunque, sono tanti, capisco che parlarne da qui sia per certi versi anche facile?. Lei questi problemi li affronterebbe in un?altra veste? Magari come presidente della Fip o della Lega? ?Io ne parlerei e ne avrei parlato quando ci fu il rinnovo del presidente Federale, quello di 5 anni fa. Le condizioni però non c?erano. Prima bisogna cambiare il sistema. Non ha senso che uno si sieda su una poltrona ma poi il sistema gli impedisca di poter fare determinate cose. Non ero e non sono alla ricerca di nessuna poltrona, semplicemente non vedevo modo di cambiare le cose. Dino Meneghin era un nome che la pallacanestro italiana poteva spendere anche meglio del mio, ma è andato a sedersi su una poltrona dalla quale è stato impossibilitato di operare. Non solo, poi ti prendi anche colpe che non sono tue, perché tutti si aspettano grandi cose che invece non hai possibilità di fare. Una volta che viene stilato un programma bisogna dare la possibilità e il tempo di realizzarlo, tanto meglio se questo nasce da idee di chi poi è chiamato a operare. L?idea che si stili un programma e poi si trovi una persona che lo porti avanti è sbagliata. In ogni caso il cambiamento non è quello che si sta verificando adesso?. Che cosa ne pensa della rinuncia al Mondiale? ?Il sistema della wild card sono anni che esiste. È inutile che facciamo i santarellini, nel 2006 siamo andati al Mondiale, ci faceva comodo e l?abbiamo utilizzata. Chi è preposto fa le sue valutazioni, si rende conto se una cosa funziona o non funziona. Il regolamento era quello, noi lo sapevamo. Finché sei in un sistema, bisogna accettare le regole di quel sistema. E poi non è giusto che quelle regole vadano bene quando ti fanno comodo e vengano criticate in altri momenti. La dimostrazione è che se non avessimo preso una posizione di quel genere quest?anno faremmo i Mondiali. I soldi ci sono, chiaro che con il senno del poi.. Con tutto il rispetto per i finlandesi,nel momento in cui non c?è la Cina e non c?è la Russia, non mi vengano a dire che se allo stesso tavolo ci fossero state Italia e Finlandia probabilmente non ci saremmo andati noi al Mondiale?. Perché nel momento della rinuncia alla wild card non si è esposta una strada alternativa? ?In quel momento lì l?unico messaggio che si voleva far passare era quello dei motivi per cui si rinunciava alla wild card. Ovvio che nel momento in cui non comunichi nulla lasci libera interpretazione a tutti. Sarebbe stato più strategico indicare qual è la strada alternativa. Anche per i giocatori sarebbe stato importante fare il Mondiale, molti di loro corrono il rischio di non partecipare a un grande evento nella loro carriera. Non dimentichiamo che in Italia abbiamo avuto una generazione di giocatori grandissimi che non hanno mai avuto una vetrina olimpica. Noi non siamo stati alle Olimpiadi dal 1984 al 2000 e abbiamo avuto fior di campioni che non hanno avuto questa possibilità. Quanto è importante per un giocatore avere una vetrina internazionale! Se Belinelli oggi è nell?NBA è anche per il fatto che nel 2006 contro gli USA giocò una delle più belle partite della sua carriera, che probabilmente gli ha aperto qualche porta. Certamente l?NBA si sarebbe accorta di lui anche per altri fattori, non solo per quella partita, ma il Mondiale è servito comunque per mettere una lente di ingrandimento su di lui. I giocatori professionisti hanno bisogno di queste manifestazioni, devono sempre avere una vetrina dove mettersi in mostra, che aumenta il loro valore e l?interesse nei loro confronti?.

Fonte: www.legabasket.it