News

19/03/2014

Interessantissimo articolo del direttore di Basketnet Raffaele Baldini.

Ci permettiamo di riportare quanto scritto sul proprio sito da Raffaele Baldini, perché lo riteniamo un articolo molto saggio e ben fatto, che va letto da più gente possibile e speriamo che il nostro sito possa aumentare i destinatari di questo articolo.
Ecco quanto scritto:

I dilemmi di un giovane allenatore...

Si e' parlato tanto della responsabilità e incidenza degli allenatori per i ragazzini che si approcciano alla pallacanestro (anche il coach della Nazionale si è espresso in tal senso), in quella fascia d'età adolescenziale che performa il giocatore in modo decisivo; spesso il loro identikit e' quello di giovani istruttori con il tesserino base, non pagati e possibilmente cresciuti nell'alveo societario di ?nascita?.

Mi metto nei loro panni, scomode vesti di depositari di un verbo cestistico che non può essere affinato a dovere per svariate ragioni, messi spalle al muro da una Federazione sempre più incline alla meritocrazia con portafoglio, stretti nella morsa fra genitori di ultima generazione (la peggior specie) e risultati da fornire per società di appartenenza.

 

Premetto alcune cose che sollevano da facili alibi i giovani allenatori: se io fossi uno di loro farei della mia vita sportiva, qualsiasi essa sia in termini di ore dedicate, una vocazione al limite del religioso, respirando, assorbendo, ?rubando? pallacanestro da ogni dove, seguendo maestri e guardando un'infinita' di partite, LEGGENDO pubblicazioni di svariato genere (a sfondo cestistico ovviamente), confrontandomi con chiunque volesse; ecco, vi assicuro che questo rappresenta il 10% degli addetti ai lavori in Italia. Troppi sono permeati da un'aura di onnipotenza prematura, di presunzione al limite del ridicolo, con la conseguenza pericolosa di un immobilismo conoscitivo. In quest'ottica, ma solo in questa, azzarderei che i punti PAO non sono una bestialità per indurre (magari con la forza) ad aggiornamenti utili i coaches...

Posto quindi il presupposto della ?fame? come viatico alla carriera, leit motiv di tutti i grandi, da Sandro Gamba a Ettore Messina, da Dan Peterson a Simone Pianigiani, esiste poi un effettivo scontro di correnti uguali e contrarie ostacolo alla crescita professionale: come posso dedicare la mia esistenza allo sport se non ci sono incarichi remunerati a livello giovanile (a parte pochissimi casi)? Come posso affrontare corsi se non ho il minimo quattrino in tasca? Come posso materializzare una vocazione se non c'e' reale sbocco professionale?

 

L'imbuto strettissimo da cui escono i pochissimi eletti head coach per panchine di serie A, Gold, Silver e qualche DNB non possono rappresentare un reale punto di arrivo per centinaia-migliaia di aspiranti allenatori. La pallacanestro, se crede effettivamente nell'importanza della figura di istruttori per la fascia d'età DECISIVA che va dai 13 ai 19 anni, e' necessario che preveda posti di lavoro full-time, almeno due per società professionistiche o dilettantistiche di alto livello.

 

Non è giusto eticamente mettere un giovane ragazzo con la VOCAZIONE di allenare pallacanestro di fronte a due strade, neanche percorribili autonomamente: la prima, quella dei "figli di papà" che ti permette la rincorsa al sogno avendo le spalle coperte di una esistenza agiata garantita; la seconda, è quella dell'appassionato part-time, dopolavorista e, pur animato da straordinarie intenzioni, limitato da una libertà d'espressione (ricordo che spesso i giovani atleti si allenano nel pomeriggio, incompatibilmente con il 90% dei lavori in circolazione) e di approfondimento.

Per i giocatori il discorso non è dissimile: nell'imbuto sopra citato, molto stretto, da cui escono atleti professionisti, l'unica via all'eccellenza (forse) è la totale immersione nella propria attività, curando aspetti e sfumature che abbisognano di ore e ore giornaliere; per l'amor del cielo, si sono visti cestisti giocare e lavorare contemporaneamente, difficilmente però ai massimi livelli (eccetto Marzorati e pochi altri, e in altri tempi).

 

C'è poco da fare, in un paese dove il binomio scuola-sport invece di essere visto come una sinergia viene visto come una contrapposizione, il percorso di un giovane appassionato diventa tortuoso a dir poco. Diamo quindi una luce a chi sceglie coraggiosamente di fare l'allenatore, senza per forza cancellare tutto quel meraviglioso macro universo di istruttori che giornalmente elargiscono il proprio tempo e il proprio sapere senza velleità alcune, solo per il piacere di dare qualcosa agli imberbi allievi, anche il solo entusiasmo, che non è poco per il movimento!

 

Raffaele Baldini


Fonte: www.basketnet.it